San Giovanni della Croce, Cantico
spirituale, canz. 1ª, strofa
«¿Adónde te escondiste,
Amado, y me dejaste con gemido?
Como el ciervo huiste
habiéndome herido;
salí tras ti clamando y eras ido.»
1. Struttura della strofa
a) Messa in scena: i personaggi
Per
poter entrare nella dinamica della prima strofa del Cantico spirituale, è bene che ci ubichiamo proprio dentro di essa
quale fossi un’opera teatrale, pensata per essere drammatizzata, messa in
scena. In questo modo, troviamo due personaggi principali e unici: uno presente
e un altro assente. Di quest’ultimo sappiamo il suo nome: “Amato” (Amado; in maiuscolo). Ciò ci aiuta per conoscere
l’identità dell’altro personaggio: la sua coppia, l’altra metà, il suo
complemento, l’“amante” (tenendo conto del binomio lui-Amato / lei-amante). Non
è poco capire bene questi appellativi («queste verità», come direbbe Sta.
Teresa: 6M 10,3); in essi si riassume l’azione (e la passione) delle prime
dodici canzoni. “Amato” è participio passato del verbo “amare”, quindi significa
passività; ma allo stesso tempo è riferito ad una persona, la quale riceve
passivamente l’azione di quello stesso verbo. L’Amato è amato. (Ovvio, ma non
deve essere dato per scontato.) Quando è cominciato ad essere amato? Per quale
ragione? Ancora non lo sappiamo; neppure se lui è anche amante, se risponde
all’amore ricevuto.
Da chi è amato?
Da qualcuno che porta a termine quell’azione: l’“amante”. “Amante” è participio
presente del verbo “amare” (l’opposto di ciò che appena abbiamo detto su
“Amato”), e quindi denota attività; è, infatti, la forza motrice della strofa,
l’unico personaggio presente in scena. Ci troviamo, dunque, dinanzi l’amante
che dialoga con il suo amato assente. Ciò significherebbe un dialogo
monologico: un mittente stabilisce una relazione comunicativa con un recettore
ma non vi è risposta alcuna o feedback da parte di quest’ultimo. L’esempio
tipico è quello del professore facendo lezione ai suoi alunni, oppure il
conferenziere parlando dinanzi ad una folla dalla quale lui non aspetta un
messaggio di risposta equivalente al suo di proposta. Ecco qui, però, la
differenza tra l’esempio e la strofa che analizziamo: l’amante cerca, vuole e
pretende la risposta del suo amato, ma non la trova; almeno, in questa strofa.
Dovrà aspettare fino alla 13ª («Vuélvete,
paloma»), dove entra in scena il partner, tanto desiderato. Così è
completato il binomio amante-Amato. Queste sono le domande e le conclusioni che
si possono trarre dalla strofa nel suo primo approccio.
Arrivati
a questo momento, dopo aver capito chi
appaiono in scena, dobbiamo rispondere ad un’altra questione: il quando. Diventa non solo importante, ma
anche fondamentale per determinare con proprietà chi dei due è il vero
personaggio attivo e chi quello passivo (essendo, allo stesso tempo, ambedue
principali); è il quando dell’amore. Difatti, l’amante ci si mostra in azione
nella strofa 1ª, ma chi provoca tutte le sue azioni è proprio l’Amato.
Da qui troviamo i ruoli scambiati: l’Amato è in realtà colui che precede con il
suo amore l’amante, la quale sin dal principio è stata amata; e continuerà ad
esserne. Per tanto cambiano le relazioni, il binomio da cui è partito il nostro
discorso (lei-amante / lui-Amato): l’Amato è l’unico e il vero amante, e colei
che chiamavamo “amante” in verità è l’amata. Nuovo binomio, allora: lui-Amato
(amante) / lei-amata.
Per
completare la nostra visione della scena, aggiungiamo un’annotazione
importante, che sempre dovremo aver presente perché condiziona tutto il Cantico. Questi personaggi già descritti
formano un binomio asimmetrico: l’Amato è maiuscolo; l’amata, minuscola.
Ambedue si amano a vicenda, “sono amati” definitivamente. Ma… chi ha
l’iniziativa? La risposta è facile se pensiamo che l’Amato per eccellenza è
Gesù Cristo; ma
non sarà tanto chiaro se applichiamo i nomi ad altri esempi possibili (p.e.,
due innamorati, i quali si trovano, in genere, sullo stesso livello, con le
stesse responsabilità, obblighi e diritti verso l’altro).
b) Analisi sintattico-grammaticale
Capiamo
i sintagmi di questa strofa dai verbi di cui sono composti (nuclei dei
predicati) e finalmente, con uno sguardo più ampio, dalle azioni che presenta.
I sintagmi che troviamo sono tre:
un’interrogazione (vv. 1-2) composta da due enunciati (te escondiste, e me dejaste
con gemido uniti dallo stesso soggetto — Amado — e preceduti dal “dove”: Adónde)
più due enunciati affermativi (vv. 3-4: habiéndome
herido huiste como el ciervo [dove si usa l’iperbato]; e v. 5: salí tras ti clamando y eras ido, di
simile costruzione a quella dei primi due versetti).
Il
numero dei sintagmi è raddoppiato da quello dei verbi;
questi sono sei: tre semplici e tre composti o parafrasi. In ordine di
apparizione: “nascondesti” (escondiste),
“lasciasti” (dejaste), “fuggisti” (huiste), “avendomi ferito” (habiéndome herido), “uscii gridando” (salí clamando), “eri sparito” (eras ido). Tutti i verbi eccetto uno
vanno riferiti all’Amato; soltanto uno si dice dell’amata: “uscii” (salí). Tempo dei verbi: quelli in
passato remoto, da una parte, sono i seguenti: escondiste, dejaste, huiste (azioni dell’Amato); salí (azione dell’amata). Da tutti
questi verbi noi non conosciamo concretamente né il tempo né lo spazio,
coordinate nelle quali si sono sviluppate le azioni, e delle quali adesso si
ricorda l’amata. Soltanto sappiamo che sono accaduti nel passato. Da un’altra
parte rimangono i verbi in passato perfetto — haber herido, eras ido —
e quindi le azioni che esprimono sono già finite, concluse (altrimenti sarebbe
“imperfetto”; p.e.: estabas yéndote invece
di eras ido).
Le azioni che capitano nella strofa, in
ordine d’apparizione, sono queste:
-
nascondersi (v. 1)
-
lasciar con gemito – lasciare/ abbandonare (v. 2)
-
gemere (v. 2)
-
fuggire (v. 3)
-
ferire (v. 4)
-
uscire gridando/ uscire (v. 5)
-
gridare (v. 5)
-
andarsene (v. 5).
Vediamo,
subito, che l’ultimo versetto (n. 5) — proprio quello dove si trova l’unico
verbo predicato dell’amata — è il più carico d’azione nella strofa (registra
tre forme verbali insieme).
– La dinamica della reciprocità (tu-io)
Possiamo
presentare, tuttavia, le stesse azioni secondo l’ordine cronologico
(continuando con la prospettiva iniziale dell’opera teatrale), ma dobbiamo
prima riordinarle secondo la coordinata temporale. La storia che la strofa
contiene, se la raccontiamo solo con i verbi, rimane dunque così:
(tu) 1.°
ferire (Amato Õ amata)
(tu) 2.°
nascondersi (Amato)
(tu) 3.°
lasciare con gemito (Amato Õ amata)
(tu) 4°.
fuggire (Amato)
(io) 5.°
uscire gridando (amata)
(tu) 6.°
andarsene [haberse ido] (Amato)
Infine,
fissiamo il nostro sguardo sulle particole pronominali (“me” e “te”), come pure
i soggetti, per riuscire a intendere meglio la suddetta dinamica di reciprocità
tra l’Amato (tu) e l’amata (io),
la quale chiarisce in certo modo l’aspetto già analizzato dell’iniziativa
nell’amore vicendevole ma asimmetrico tra i due personaggi principali. Per
vedere più graficamente questo, riscriviamo la strofa originale rilevando le
particole che a noi interessano:
(tu) ¿Adónde te escondiste,
(io-tu) Amado, y me
dejaste con gemido?
(tu) Como el ciervo huiste
(io-tu) habiéndome
[tú] herido;
(io-tu) salí
[yo] tras ti clamando y [tú] eras ido.
Bisogna
dire che l’io-tu nei versetti secondo
e quarto contiene un io passivo;
mentre che nel quinto e ultimo, l’io è attivo (salí tras ti clamando).
Per
quanto riguarda ai nomi o sostantivi, n’appaiono pochi nella strofa, ma quelli
che ci stanno hanno un denso significato. Adesso soltanto gli enumeriamo; in
seguito ci soffermiamo su di loro per spiegare i simboli utilizzati dal Santo
Padre all’inizio del suo poema. Sono i seguenti: “Amato” (Amado), “gemito” (gemido),
“cervo” (ciervo). Aggiungiamo a
questi anche “ferita” (herida),
tratto dalla perifrasi verbale del v. 4: habiéndome
herido.
2. La simbologia della strofa
«¿A dónde te escondiste,
Amado,
y me dejaste con gemido?»
Questi due primi versetti ci danno l’immagine o piuttosto ci fanno sentire
la voce di una donna innamorata, che grida: amore mio, mon amour... chiedendo il suo amato. Abbiamo qui l’immagine di una
donna che ha la coscienza della propria afflizione.
Perché questa coscienza di solitudine?
Il poema comincia bruscamente, senza preparazione. Tuttavia, è evidente che
c’era qualcosa prima: uno sguardo, un gesto, una parola d’amore… In pratica,
una presenza/assenza di un’altra persona, un’azione che ha lasciato l’autore
così ferito. Anche non è detto, non è chiaro perché l’amato ha abbandonato
l’amata. È chiaro che il poema ci parla di un incontro e di una separazione di
due innamorati. Possiamo scoprire che ci si parla d’amore, già maturo e
preparato per il grande incontro. Questo “primo incontro” ha cambiato tanto
l’amata a tal punto che lei è “pazza” per la presenza dell’amato. La vita di
questa “donna” o “anima” è agitata.
Como el ciervo huiste
Vediamo
che cosa rappresenta “il cervo” e perché esso simboleggia qui l’amato.
Tra i simboli di S. Giovanni della Croce provenienti dagli animali, il cervo ha relativa ampiezza e varie connotazioni.
Possiamo trovare il cervo nella Sacra Scrittura: Sal 42,2-3; Cant 2,7; 2,9;
3,5. Lo troviamo anche nelle letture profane.
Il
Santo Padre ha preso mano di un simbolo che è assai frequentato e ha una lunga
tradizione. Il cervo appare come un sogno o simbolo molto positivo.
Quest’animale è visto come “l’albero” di vita, vale a dire, fecondità, crescita.
La caduta e rinascita annuale delle corna è simbolo del ciclo della natura,
dell’incessante morire e divenire. Simboleggia un dinamismo di vita, un animale
pieno di vitalità. Un altro simbolo quello della velocità e allo stesso tempo
di paura.
A causa
del suo gusto di solitudine è simbolo di malinconia. Il cervo simboleggia la
prudenza e l’udito. È, dunque, molto difficile di avvicinarsi a lui senza
essere udito. Nel nostro poema l’amato è simile al cervo che fugge. L’amata che
ha pensato d’avere in possesso l’amato, si è ritrovata da sola. Questa fuga ci
fa pensare anche all’immagine degli animali selvaggi che hanno bisogno di
essere addomesticati: la volpe per esempio.
Habiéndome herido
La
parola “ferita” (herida) è definita
come un taglio o lacerazione della cute. Secondo lo Zingarelli ci sono diversi tipi di ferite: leggera, grave, mortale,
causata da un’arma di fuoco, ferita superficiale; ma anche può essere un grave
dolore fisico come pure un’offesa morale. Alla fine c’è anche la ferita
d’amore.
Per i
mistici, la ferita ha il significato di grazia (come dono e come stato). Il
loro scopo è l’amore di Dio, quindi la ferita li fa accrescere quest’amore
lacerante, nel quale vivono e per il quale muoiono. Proprio questo è dato
all’anima per accelerare il cammino di perfezione verso la sua meta, e suscita
in lei un desiderio di Dio immenso…
In ogni
modo, qualsiasi sia la ferita, piccola o grande, essa coinvolge tutto il corpo.
San Paolo ci ricorda che quando soffre un membro, tutti gli altri soffrono insieme.
Questo ci porta all’immagine del “gemito” (con
gemido), che è un gemito d’impazienza, per trovare la sua guarigione o
piuttosto per trovare l’amato.
3. Proposta
di lettura contemporanea
Sull’eredità
che ha ricevuto l’uomo d’oggi — sia moderno, sia postmoderno — si può dire
qualche parola riassuntiva che, però, mancherà di altre anche importanti (non
abbiamo la pretesa di essere totalizzanti, scriviamo queste righe soltanto a
modo di approccio). Vediamo, dunque, quattro punti nodali sul pensiero e la
realtà umani del nostro tempo. Sono i seguenti:
-- L’uomo vs.
Dio. Fino al medioevo Dio era stato il punto di partenza e la meta d’arrivo di
tutto il pensiero umano, delle scienze, e infine della ragione. Ora, dopo
l’epoca moderna, l’uomo ha ricevuto un importante cambio di prospettiva: adesso
guarda se stesso come centro d’interesse in tutti i livelli dell’essere e del
fare umani. Dio è scomparso dallo schema di partenza (Dio–uomo–mondo; poi:
uomo–mondo).
-- Principio di razionalità. Tutto passa dalla
ragione ed è prodotto da essa; vi è una gran fiducia nelle capacità
intellettuali umane, che porteranno a un grande sviluppo sociale (si pensi alla
grandissima espansione urbana cominciata in Europa nel XVIII secolo).
-- L’aferramento del mondo. È la conquista della ragione
per mezzo delle matematiche, la logica, le scienze naturali (in ambito
politico, questo si fece più noto con la vittoria degli ideali liberalisti
americani nella Rivoluzione francese; nell’economia si vide prima nella
Rivoluzione industriale inglese).
-- Il progresso come parabola di un futuro
continuamente promettente. Determinano la storia i grandi progetti e le
collettività (p.e., nella storiografia marxista si parlerà di “lotta delle
classi”). Vi si trova anche una ricerca continua per migliorare il futuro, sia
per mezzo del perfezionamento scientifico (“il secolo dei lumi”), sia
attraverso la difesa del solo individuo nei confronti dello stato (cf Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo).
Per alcuni, l’epoca della
modernità è venuta meno e perfino caduta dopo l’esperienza dell’irrazionalità
umana (soprattutto con le due guerre mondiali del XX secolo). Per
altri, invece, questo fatto non fa altro che radicalizzare le posizioni e
portare l’uomo all’estremo del modernismo.
Di
tutta questa panorama, anche se possiamo ricavare moltissimi elementi che hanno
molto giovato all’uomo del nostro tempo, non dobbiamo dimenticare il vuoto che,
alla fine, lui sente nel più profondo del suo essere.
Da tutto ciò ricaviamo, in qualche modo, la ferita dell’uomo d’oggi, che ha
acquisito diverse tonalità e significati, dipendendo degli ambiti umani dov’è
apparsa. Per cui abbiamo molteplici ferite: politica (diffidenza), economica
(abisso tra il Nord e il Sud), sociale (gli scioperi per acquistare migliori
condizioni di lavoro; immigrazione e razzismo; insicurezza nelle grandi urbe;
le condizioni della donna nella società e dei gruppi minoritari…), naturale
(ecologica e ambientale; di rapporto con le cose: dipendenze varie e
autodistruzione; con le persone nella comunicazione: ferite psicologiche e
relazionali), religiosa (istituzionalizzazione, esteriorità del vissuto
religioso senza approfondimento, incoerenze tra la parola proclamata e
l’esistenza vissuta), temporale (non c’è un futuro promettente, ma un presente da
vivere; quindi: carpe diem,
un’esagerazione di Qo 9,7-10; cf 1Cor 15,32).
Per
guarire questa molteplice ferita sanguinante, San Giovanni della
Croce ci propone nella prima strofa del Cantico
spirituale un unguento efficacissimo: la ferita d’amore. Alcune
delle note più caratteristiche che questa ferita ci offre, entriamo nell’ambito
dell’ossimoro, sono le seguenti:
-- Ripropone l’amore. Un rapporto personale
“profondo”, trasparente e solidale; soprattutto, nei confronti di Dio (cf CB
1,1: «Rendendosi conto l’anima» della gratuità dell’amore di Dio…). È lui chi
si prende cura (per primo) di noi con grande impegno fino alle ultime
conseguenze, fino all’estremo della nostra libertà (coscienza). Nella strofa,
infatti, la prima iniziativa parte dall’Amato: me dejaste con gemido / habiéndome
herido.
-- La fiducia nell’Altro: anzitutto, bisogna fede
nella potenza di Dio nella nostra vita, per guarirla dalle ferite sanguinanti.
(Prima di fare qualsiasi miracolo, Gesù chiedeva al richiedente di guardarsi
all’interno e vedere se aveva la fede sufficiente perché la sua richiesta fosse
compiuta.) Ciò richiede da parte nostra dei grandi dossi d’autenticità. Nella
strofa, la risposta dell’amata è la ricerca dell’Amato, causa della sua ferita,
con tutte le sue forze: Adónde te escondiste
/ salí tras ti clamando.
-- Apertura e dinamicità: questa ferita è una morte
(più grande o meno) che
però ci aprirà alla vita (quaggiù e quell’eterna). Se l’amata ha cominciato a
cantare nella nostra strofa, lamentandosi dell’assenza dell’Amato, alla fine
non si fermerà né si rinchiuderà nel suo dolore; anzi, si mette in azione ed
esce (salí) in cerca del suo Amato,
l’unico che la può guarire. Qui è presente anche la speranza cristiana con il
suo “gemito” amoroso e impaziente ma pacifico, che, insieme alla ferita
d’amore, spinge l’amata ad alzarsi e ad uscire da se per vivere in pienezza.
Lei stessa si renderà conto dopo che non è tanto la sua ricerca come quella
dell’Amato: «Bisogna sapere che, se l’anima cerca Dio, molto di più la cerca il
suo Amato» (Fiamma 3,28; cf CB 22,1).
Una piccola aggiunta a
queste parole: la figura del cervo li serve al Santo e ci aiuta a noi nei
nostri atteggiamenti quotidiani verso l’altro, nel mistero d’amore che tutti
siamo. Offriamo qualche esempio per l’uomo religioso d’oggi.
-- L’inaferrabilità di Dio. Dinanzi alle ferite nel
rapporto umano (sia orizzontale, sia verticale), il cervo nei confronti con
l’Amato e l’amata ci mostra una nuova sensibilità: “Non posso capire tutta
l’altra persona, il mio partner”. Il cervo, come si è già detto, ha paura di
essere visto da altri animali o persone davanti ai quali la sua vita potrebbe
correre pericolo; perciò sfugge rapidamente quando qualche suono sospettoso
arriva al suo udito. Quest’atteggiamento sarebbe da raccomandare ai nuovi “letrados”
nella società e, concretamente, nella Chiesa, i quali vogliono sapere tutto e
avere perfino Dio nei propri concetti e
idee. Anche è da vivere nei soliti rapporti d’amore: l’altro sempre mi
sfuggirà…
-- Esigenza continua di radicalità, d’impegno, di
donazione di sé. Il cervo è l’Amato; e l’Amato per eccellenza è Gesù Cristo,
Dio e Signore nostro. Ora, non possiamo trattare né rivolgerci a Cristo se non
lo troviamo vicino da noi, trattabile, accessibile. In altre parole, la nostra
religione non sarà vera, se Cristo per noi non si è incarnato, non si è
“umanato”. Questo messaggio va rivolto, innanzitutto, ai nuovi spirituali, i
quali finiscono cercando più se stessi che Dio. A questi, andrebbe bene seguire
l’esempio del cervo: invece che l’eccesso di
protagonismo (che è espressione del vuoto interiore, della fiducia
nell’esteriorità e infine della propria debolezza), potrebbero prendere
la via del silenzio creativo e, cioè, del nascondimento solidale con i poveri,
con quelli che nessuno vede benché esistano migliaia. Questo porta con se
attuazioni concrete e delle scelte radicali: dinanzi a coloro che “urlano”
nella Chiesa, essere il grido (di ricerca, d’aiuto) di chi non può gridare più.
Proponiamo, infine, a coloro che non si fermano come il Samaritano (cf Lc
10,29-37), la pedagogia dell’Amato: la sua
iniziativa viene sempre dall’amore infinito che ha Dio per ogni uomo, per ogni figlio suo. Se non ci fosse
stata l’esperienza precedente di Dio con l’amata, costui non avrebbe
intonato il Cantico spirituale… Ma,
grazie a Dio, Lui ha parlato per primo con il suo amore, manifestato in Cristo
Gesù. A lui sia la gloria nei secoli. Amen.
Conclusione. Sintesi della
1ª strofa
1. La
ferita che siamo tutti. Tutti portiamo (e siamo) una ferita d’amore, che
soltanto si chiuderà e si guarirà nell’amore.
2. Trasformazione dell’amore. L’amore dell’Amato produce nell’amata un importante
cambio di stato: dalla passività all’attività. L’amata
si rende conto che è appunto, amata, e perciò esce. Quest’azione fondamentale (v.5) ci annunzia che lei è stata
trasformata dall’amore.
3. Il lato
“negativo” dell’amore. L’amore viene presentato paradossalmente (non
come di solito, vale a dire, come possessione) in due parole: assenza e povertà
(termini taglianti, non sempre accettati). L’esempio di Gesù sulla croce è ben
chiaro: in assenza di Dio Padre e nell’estrema povertà della croce (nudità,
esposizione, morte).
4. Il
“dove” dell’amore. Dove c’è l’amore? Così comincia la strofa e, con
essa, tutto il poema del Cantico.
Questa domanda può avere diverse risposte: l’amore si può trovare in tutti i
luoghi e in nessuno. L’amore si trova in Dio, perché questo è il suo nome
proprio (cf 1Gv 4, 8.16). “Dov’è carità e amore, lì c’è Dio”…
Bibliografia
consultata
Bagnasco, Arnaldo, «Breve guida alla modernità radicale», in
Anthony Giddens, Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e
pericolo. Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 9-14 (originale inglese: Cambridge
1990).
Chevalier, Jean – Alain Gheerbrant,
Dictionnaire des symboles. Mythes, rêves, coutumes, gestes,
formes, couleurs, nombres. Paris, Robert Lafont – Jupiter, 1987 (ed. orig.:
1969), pp. 195-198 (voce cerf).
Lurker, Manfred,
Dizionario delle immagini e dei simboli
biblici, ed. italiana a cura di Gianfranco Ravasi. Cinisello Balsamo,
Paoline, 1990, pp. 49-50, 201-202 (voci cervo
e sposa/ sposo),
Pikaza, Xavier, El “Cántico espiritual” de San Juan de la
Cruz. Poesía. Biblia. Teología. Madrid, Paulinas, 1992.